Silvia Casini, Raffaella Fenoglio e Francesco Pasqua
Gli autori de La cucina incantata ci hanno raccontato di più sul nostro ultimo libro.
Ciao Silvia, Raffaella e Francesco, cominciamo l’intervista con un piccolo trabocchetto. Descrivetevi in 30 parole!
S: Capelli scarmigliati, anima vagabonda e combattente nata. Nel mio altroquando, più nobile di una favola, scrivo e sprofondo in una tenerezza inaudita, mentre il mio cuore atlantico trema, brucia, tuona.
R: Mani in pasta, mani che scrivono, tempo ben impiegato, altre volte sprecato. Amo gli ingredienti occasionali da combinare tra loro, i vini sorprendenti, lo street food e i profumi nati dalla magia dei fornelli.
F: Okay, procedo in ordine alfabetico: antifascista, cinico, comunista, dilaniato, dylaniano, estivo, femminista, gattaro, godereccio, imbronciato, introverso, lento, menzognero, miyazakiano, neghittoso, nervoso, nostalgico, notturno, ommioddio-quant’è-bella-emma-stone, ponderante, riccioluto, risoluto, rockettaro, romantico, sarcastico, spidermaniano, springstiniano, timido, urtante, zorro.
Il vostro libro La cucina incantata ci porta alla scoperta dei piatti presenti nei film di Hayao Miyazaki. Potete raccontarci da dove arriva l’idea e l’ispirazione? Raccontateci qualche aneddoto della sua produzione.
S: Amiamo follemente Hayao Miyazaki e il suo mondo immaginifico. Il libro nasce proprio dalla nostra passione per il mondo nipponico e gli anime. È un omaggio alla poetica del grande maestro, che spesso e volentieri, è stata salvifica nelle nostre esistenze. Ci ha insegnato l’amore, la resilienza, l’importanza dei sogni, il vacillare magico, il rispetto per Madre Natura, l’instancabile bellezza della pace. Per quanto concerne la realizzazione, io ho strutturato l’idea, poi ho buttato giù il concept. Raffaella lo ha arricchito con le ricette e infine Francesco ha dato il suo tocco magico. Una curiosità: abbiamo rivisto l’intera produzione miyazakiana, e nel descrivere le ricette ci siamo soffermati sui frame gastronomici più rilevanti… in poche parole, una fame inaudita!
R: Confermo quanto ha detto Silvia, tanti anime, tante ricette e mooolta fame!
F: L’idea del libro è venuta a Silvia. Ricordo ancora il pomeriggio in cui mi parlò per la prima volta del progetto. Eravamo al telefono e appena pronunciò il nome di Miyazaki non la lasciai neanche terminare: accettai all’istante, senza alcuna reticenza. E questo perché sono profondamente innamorato del mondo di Miyazaki. Rivedere tutti i suoi film, ricercare curiosità e aneddoti, scriverne, mi ha fatto tornare ragazzino.
Avete un capitolo o una parte preferita? Se sì, raccontateci perché.
S: Nello specifico ho tre film nel cuore, ovvero Principessa Mononoke, La città incantata e Il castello errante di Howl. Ora… vi farete una gran risata, ma i miei più cari amici sanno perfettamente che il mio soprannome è Mononoke. San, la ragazza cresciuta dai lupi che si batte per proteggere la foresta e gli spiriti che la abitano, ha la mia stessa anima forsennata. La materia viva che la conduce ha il mio stesso impasto segreto. Il suo cuore selvatico, in realtà, nasconde fuochi segreti e una dolcezza infinita. Per quanto concerne La città incantata, tra i vari messaggi che la pellicola emana, ce n’è uno a me caro, ovvero l’importanza del nome. «Abbi cura del tuo nome», sussurra la sorella di Yubaba a Chihiro. Non è una frase detta a caso, perché pronunciare il nome di qualcuno significa invocare ed evocare la sua presenza. Infine, la magica storia narrata ne Il castello errante di Howl per me è un respiro in più. Il messaggio che ne deriva è che il coraggio nasce dall’amore. Infatti Howl, nonostante il suo bell’aspetto e i suoi modi principeschi, in realtà è un vile. L’arrivo di Sophie nella sua esistenza segnerà l’inizio della sua redenzione. Con la sua forza d’animo Sophie spazzerà via il tormento dal suo cuore appassito, così Howl comincerà a proteggere ciò che ama a dismisura e riuscirà a riconciliarsi con la sua viva umanità. Cosa c’è di più toccante di un destino salvifico e appassionato?
R: Amo i bento per la loro varietà, i colori e la cura che richiedono a chi li prepara. In Giappone era tradizione che i cacciatori, gli agricoltori o i guerrieri portassero con sé un pranzo semplice, a base di riso essiccato: noi lo chiameremmo pranzo al sacco. Le prime testimonianze di questa usanza risalgono al V secolo. Con l’introduzione del sistema ferroviario, alla fine del XIX secolo, nelle stazioni i viaggiatori potevano acquistare l’eikiben, o station bento.
F: Non ho un capitolo o una parte preferita. Confesso però che rileggere quanto scritto su Porco Rosso, Mononoke e La città incantata mi regala ancora qualche scampolo di soddisfazione in più. Lì ci sono dei temi che sento molto.
Per Trenta Editore la “Buona Tavola suscita emozioni”, cosa rende speciale la vostra tavola?
S: I piatti cucinati con amore, perché preparare una pietanza per qualcuno è un atto di fede, una condivisione intima di tempo, audacia e fantasia. Amo anche i dettagli e spesso decoro la tavola con fiori e candele.
R: Per me la differenza la fa il sapore e il profumo dei cibi. Non sono una fanatica dell’impiattamento: una bella tovaglia, piatti e posate accostati in modo armonico, magari una candela è quanto mi basta. Ma quello che fa davvero la differenza è il sapore e il profumo, ovviamente. Non posso pensare a una tavola attorno alla quale non aleggia un buon odore, diffidate da chi vi invita a cena in una casa asettica…a meno che non vi metta nel piatto insalata e prosciutto!
F: Le spezie! Adoro le spezie. Prima di utilizzarle mi piace tostarle leggermente, in modo che possano tirare fuori tutta la loro forza, la loro personalità. Certo, occorre calibrarle bene e, all’occorrenza, saperle anche miscelare. La mia è una tavola speziale.
Qual è la vostra personale definizione di creatività?
S: La furia ingovernabile del cuore. La passione dell’arte e per l’arte. Il processo immaginifico irresistibile e inarrestabile.
R: Soprattutto la curiosità: bisogna essere curiosi per combinare colori e sapori, ricette da diverse parti del mondo e accostamenti audaci.
F: Giocare con l’estro, allenare il pensiero laterale.
Esiste un piatto tra quelli che avete proposto nel libro che possa definirvi? Quel particolare sapore che potrebbe descrivere la vostra personalità, la vostra storia e il vostro vissuto.
S: La torta Siberia de Si alza il vento, perché è soffice e deliziosa, ottima per una colazione piena di dolcezza. Incarna l’importanza dei sogni, ovvero la poetica insita nel lungometraggio, che tra l’altro si apre con una citazione di Paul Valéry: “Si alza il vento… bisogna tentare di vivere”. In queste parole si evince la volontà del poeta di non abbandonarsi a cupe riflessioni sulla morte. Infatti inizierà proprio a soffiare un vento tremendo, il suo animo si scuoterà a più non posso e riuscirà a comprendere che quella tempesta è la tempesta della vita e bisogna cavalcarla. Occorre tentare di vivere. In definitiva, i tentativi sono i figli del successo. Bisogna credere nei propri sogni e adoperarsi per realizzarli. È necessario superare tsunami, balenare in burrasche e far battere sempre il proprio indomito cuore. Miyazaki lo sa perfettamente. Ciò che conta è essere ingovernabili, come l’amore.
R: Vado matta per i panini al vapore. Sono sofficissimi, delle vere e proprie nuvole, da accostare al miele, marmellate o da accompagnare a cibi salati. Io li faccio con la farina integrale e vengono ugualmente buonissimi. Il bello è che non cuocendo in forno si possono preparare con i più piccoli rendendoli partecipi del procedimento: dall’impasto, alla lievitazione, alla cottura.
F: gli onigiri. Semplici, gustosi, nutrienti e pratici. Un po’ la metafora della vita che vorrei.
La Buona Tavola e il futuro, qual è la vostra visione?
S: Il nutrirsi come esercizio di vita interiore deve essere inteso come contatto con le proprie radici e come scoperta sensoriale ed emotiva. Cucinare è magia di cuore; un cuore pieno di segreti, spezie e ingredienti che, mescolati assieme, danno la misura e il senso della felicità.
R: A mio parere le cucine estreme sono esercizi di stile. Nel futuro, come nel passato, le ricette della tradizione saranno vincenti. Vista l’evoluzione del mondo, probabilmente alle nostre classiche ricette se ne accosteranno altre, frutto delle tradizioni di popoli lontani, ma sempre consolidate e con una storia alle spalle.
F: Spero che la cucina del futuro sposi sempre più la semplicità, il che ovviamente non vuol dire facilità o mancanza di cura nella preparazione dei piatti. Un piatto può anche essere elaborato (sono siciliano e so di cosa parlo) ma, per me, deve comunque presentare un equilibrio. Una semplicità difficile a farsi, insomma. Che presupponga selezione, dedizione, inventiva. Non un caos di ingredienti, ma un ordine di ingredienti.