Nov 17, 2021

LORENZO FERRABOSCHI

Lorenzo Ferraboschi

L’autore di Guida al sake ci ha raccontato di più sul nostro ultimo libro.

 

Ciao Lorenzo! Il tuo libro Guida al sake ci porta alla scoperta della bevanda alcolica più popolare del Giappone: il sake. Puoi raccontarci da dove arriva l’idea e l’ispirazione? Raccontaci qualche aneddoto sulla sua produzione.

La produzione del sake è qualcosa di tridimensionale e si capisce perfettamente solo quando si va a fare il sake, perché è un vero e proprio intreccio di momenti che è difficile da raccontare in modo lineare. Solo all’interno della sakagura (cantina) stessa tutti sanno quello che sta per avvenire e quando deve avvenire: questa è quella che io chiamo “alchimia”, una magia di movimenti talmente precisi che sembra quasi di essere in una sala operatoria. Ogni componente della cantina ha estrema fiducia nell’altro, e ognuno di loro sa cosa il proprio vicino sta per fare. È un lavoro di squadra perfettamente orchestrato. Quindi entrare in un ingranaggio del genere ti fa sentire quasi il terzo incomodo, perché ti accorgi subito che questa cosa funziona bene, e capisci veramente cosa vuol dire far parte di una squadra. Nonostante, quindi, sia complicato spiegarlo, è quello che ho tentato di fare con questo libro, per portare le persone il più vicino possibile a questo processo incantevole.

 

Hai un capitolo o una parte preferita? Se sì, raccontaci perché.

Il mio capitolo preferito è sicuramente il terzo, ovvero quello dell’applicazione. Nei primi due capitoli il racconto è piuttosto oggettivo, quindi quello che ho cercato di dare è chiarezza. Nell’ultimo ho cercato di dare più opzioni possibili, quindi, se vogliamo, meno chiarezza, in modo da offrire strade diverse a chi lo legge, e motivarli a sperimentare. La creatività usata nel terzo capitolo è ciò che lo rende il più utile, nonostante i primi due siano fondamentali per capire il terzo. Chi legge questo libro si porta a casa una sorta di piccola responsabilità, ovvero quella di applicare le regole che gli vengono insegnate nel terzo capitolo, cercando anche di trovare il proprio modo per bere il sake, anche non con piatti che sono smaccatamente asiatici o giapponesi.

 

Per Trenta Editore la “Buona Tavola suscita emozioni”, cosa rende speciale la tua tavola?

Io sono fortunato perché mia moglie, del quale sono innamoratissimo, mi ha aiutato a entrare nel mondo della cucina. E la nostra tavola ci rappresenta perfettamente perché è una tavola promiscua, un po’ italiana e un po’ giapponese, ma anche un po’ senza barriere, perché non ci precludiamo mai nulla. Ma soprattutto non ci affidiamo mai troppo ai preconcetti: è una tavola in cui ogni tanto allunghiamo il vino rosso con dell’acqua, ogni tanto viene messo il formaggio sul pesce; se vogliamo è una tavola un po’ anomala, ma che ci dà molta ispirazione, e che è stata arricchita negli anni da idee di amici e collaboratori.

 

Qual è la tua personale definizione di creatività?

La creatività è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Il mio percorso di studi era intriso di creatività, avendo studiato Architettura e Disegno Industriale. In quel periodo mi sono fatto un’idea di creatività molto pragmatica: per me la creatività è applicata più al design che allo stile. Il design risolve un problema con una forma o con un artifizio di pensiero, mentre lo stile rende l’oggetto piacevole visivamente, ma non è risolutivo. La mia creatività viene applicata cercando di essere meno stiloso, ma più orientato verso il design. Nel mio quotidiano la creatività ad oggi viene applicata quando risolviamo un problema con un’idea (di business o di spiegazione), che è l’applicazione risolutiva per quel problema.

 

Esiste un sake tra quelli che hai proposto nel libro che possa definirti? Quel particolare sapore che potrebbe descrivere la tua personalità, la tua storia e il tuo vissuto.

Il sake perfetto non esiste. Esiste il sake giusto per il momento giusto. Quindi più che un sake preferito, mi piacciono alcuni atteggiamenti di alcuni produttori. Uno di questi, che abbiamo anche intervistato per il libro, è quello della cantina Kenbishi, che non corre dietro alle mode perché sarebbe sempre indietro. Il suo modo di produrre lo porta a volte a essere avanti rispetto agli altri, a volte indietro, ma l’idea è quella di seguire la propria strada. Lo trovo un atteggiamento giustissimo, e vedo in lui un personaggio particolarmente carismatico. Un altro produttore che stimo molto un giorno mi ha detto che il sake è un mondo in fermento, e quindi lui non può far altro che sperimentare, per scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Quello che mi piace di questi produttori è proprio la loro forma mentis: così come io utilizzo la mia creatività per risolvere un problema, anche loro utilizzano le proprie risorse per andare ad accogliere quella che è la richiesta del momento.

 

Crediti per la foto: Alberto Moro

 

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